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Educare ai sentimenti nell’era digitale

Come soffermarsi sulle emozioni in un mondo che corre

A scuola si parla sempre più spesso di intelligenza emotiva. Eppure, fuori dall’aula, ci scontriamo ogni giorno con adulti che faticano a nominare un’emozione, ragazzi che si chiudono dietro agli schermi e genitori che temono di esprimere affetto nel modo sbagliato. 
Come spesso ripeto, la scuola deve occuparsi dell’istruzione dei ragazzi, offrendo possibilmente anche esempi di buona educazione.

Ma è soprattutto in famiglia che si impara l'educazione

dando ai bambini e ai ragazzi l'opportunità concreta di imparare qualcosa di fondamentale per la loro crescita. 
La distinzione tra istruzione ed educazione non è sempre così chiara. A volte si chiede alla scuola di occuparsi di ciò che in casa si fatica anche solo a nominare: sesso, droghe, regole, rispetto.
Così la scuola cerca di colmare un vuoto, senza però appartenere al contesto affettivo di riferimento dei ragazzi, e spesso offrendo proposte che, quando va bene, non producono effetto; quando va male, ottengono l'effetto opposto.
La scuola dovrebbe occuparsi di istruzione, la famiglia di educazione. Ma la fragilità sociale attuale porta a delegare l'educazione fuori dalle mura domestiche, nella speranza che bambini e ragazzi incontrino qualcuno capace di indirizzarli verso una via per quanto possibile corretta e sana.
 

Educare ai sentimenti è una priorità educativa assoluta

E non si può imparare a gestire la rabbia, la gelosia o l’amore come se fossero un’espressione algebrica. 
Aiutare innanzitutto noi stessi – e poi i nostri figli – a sentire, nominare, esprimere e vivere le emozioni in modo autentico, senza difendersi dalla loro intensità ma imparando a trasformarla in forza, è una delle sfide più complesse dell’epoca contemporanea.
Ed è proprio il tema di questo articolo.

L’era dell’emozione.com

Un tempo si scrivevano bigliettini e lettere d’amore. Oggi si inviano cuori rossi e “TVB”.

Le emozioni sono diventate istantanee, digitali, simboliche. Si fa fatica a guardarsi negli occhi; ci si specchia nello schermo mentre si digita o ci si mette in posa per un selfie. Ogni emoticon viene scelta con attenzione per non essere troppo personale, compromettente o ambigua.

Ma se la superficialità espressiva in alcuni casi è disarmante, la complessità delle emozioni è la stessa di quando si attendeva il postino per una parola. Con una differenza: oggi tutto è più rapido, le conseguenze più immediate, e basta poco per fraintendere o essere fraintesi. Ogni giorno dobbiamo elaborare una quantità molto più elevata di stimoli emotivi rispetto al passato, in tempi molto più brevi.

Ma perché è così difficile insegnare a gestire ciò che proviamo?

Per educare ai sentimenti non basta insegnare a parlare di emozioni: bisogna aiutare a reggerne il peso, la responsabilità, la verità. E questo si può fare soltanto con l’esempio.

In famiglia si desiderano figli emotivamente intelligenti e capaci di autoregolazione, ma si pronunciano frasi come “smetti di piangere”, “non ti devi arrabbiare”, “non essere geloso”, come se si potesse comandare a piacimento la propria corteccia frontale. A scuola si insegna a scrivere testi argomentativi o a sostenere un dibattito, ma raramente si lavora sulla narrazione emotiva.
Così si impara fin da piccoli che le emozioni vere – quelle che fanno gonfiare gli occhi di lacrime, che tolgono il sonno o spingono a superare le montagne – sono ingombranti e sgradevoli.
E da adolescenti si diventa maestri nel mascherarle.

Quali sono le conseguenze della superficialità affettiva?

Relazioni fragili, perché basta un clic per interrompere la comunicazione, e una faccina per cambiare il senso di una relazione. Sofferenza silenziosa, che esplode in ansia, ritiro sociale, fuga dalla realtà, rifiuto delle relazioni fino a fenomeni estremi come l’hikikomori. Identità frammentate, costruite su like e filtri più che su esperienze condivise, incapaci di sostenere frustrazioni, opinioni divergenti e dissenso.

È possibile invertire la rotta e restituire significato alle emozioni?

I bambini vivono di emozioni, intense e pervasive. Crescendo, impariamo a gestirle o a ignorarle, diventando sempre più abili nel ricercare il piacere e fuggire il dolore. E se il piacere non è raggiungibile, ci si accontenta dell’assenza di dolore.

È fondamentale restituire valore a ciò che si prova, immergersi nel dolore se serve a comprenderlo, e sperimentare la gioia per imparare a desiderarla e ricercarla in modo sano. A casa possiamo fare molto, condividendo con i nostri figli un percorso di consapevolezza e crescita.

Ecco alcune strategie concrete per iniziare:

  1. Nominare le emozioni con frasi, non solo con parole Invece di chiedere: “Sei arrabbiato?”, prova con: “Mi sembra che tu ti senta ingiustamente trattato, è così?”. Più preciso è il linguaggio, più chiaro è il pensiero.
  2. Condividere le memorie affettive Parla dei tuoi sentimenti passati: “Quando avevo la tua età mi sentivo così anch’io”. Legittimare le emozioni crea connessione e rafforza la relazione, soprattutto nei momenti di sofferenza o perdita.
  3. Allenare il linguaggio simbolico Attraverso l’esempio, proponi teatro, musica, letteratura, arte o cinema per offrire strumenti espressivi e immagini che aiutino a raccontarsi. Anche una canzone o una poesia possono diventare linguaggio emotivo.
  4. Informarsi sui codici digitali Mostra interesse per le emoji, le app, le IA che usa tuo figlio. Chiedi spiegazioni, poni domande alla sua portata. Aprire il dialogo digitale è un gesto di vicinanza.
  5. Accettare anche il linguaggio del corpo Alcuni sentimenti non trovano parole, ma si mostrano nella postura, nello sguardo o nei gesti. Offri attenzione, tempo, silenzio. A volte, per manifestarsi, i sentimenti hanno bisogno di spazio.

In un mondo iperconnesso, educare ai sentimenti è una forma di resistenza e di coraggio.

Significa insegnare ai bambini a non aver paura della propria profondità, agli adolescenti a distinguere tra esposizione e autenticità, e agli adulti a riappropriarsi della propria voce interiore.
Ognuno di noi ha un ruolo in questa rivoluzione silenziosa. E poiché anche il non agire è una scelta, diventa inevitabile decidere quale ruolo vogliamo interpretare.

Se vuoi strumenti pratici per lavorare sull’educazione affettiva in famiglia, nella scuola o nella tua professione, visita la pagina contatti.